Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad annunci di chiusure di importanti ristoranti stellati nel Mondo, ma cosa porta ristoranti famosi e di altissimo livello a trovarsi a dover rivedere il proprio modello di business?La verità è che dietro al luccichio dei ristoranti fine dining, dietro le lunghe attese per un tavolo ci sono standard di qualità capaci di rovinare il business, conti in rosso e ritmi di lavoro insostenibili.
I ristoranti Stellati
Il modello di business dei ristoranti stellati Michelin si basa sull’eccellenza e l’esclusività. Questi ristoranti mirano alla perfezione in ogni aspetto del loro servizio: ingredienti di alta qualità, servizio impeccabile, ricette uniche e sofisticate e un’atmosfera elegante. Le stelle Michelin sono un prestigioso riconoscimento e attirano clienti di fascia alta disposti a pagare un prezzo premium per un’esperienza culinaria straordinaria.
In teoria. Perché è proprio qui che la situazione non economicamente sostenibile.
Ai ristoranti stellati sono richiesti elevati standard, che vanno mantenuti nel tempo per poter conservare il riconoscimento. Sono da considerarsi a tutti gli effetti delle vere e proprie aziende che devono basare il loro lavoro su business plan definiti nei minimi dettagli. Non si tratta solo di materie prime, di preparazione e cottura del cibo, ma anche di tutto quello che ruota attorno.
I costi operativi, il personale in primis, nei ristoranti di alto livello, un cameriere serve 4 persone, arrivando ad un rapporto di un dipendente per cliente quando si tratta di ristoranti con due o tre stelle. Si tratta, ovviamente, di personale altamente qualificato il cui giudizio inizia fin dal saluto rivolto agli ospiti. L’arredamento, il design, e l’esclusività dei servizi fino ad arrivare alla qualità delle salviette da bagno.
La qualità delle materie prime i cui costi sono sempre più elevati per garantire adeguati standard, la carta dei vini sofisticata, ampia e di altissimo livello.
Il numero dei tavoli, minori rispetto alle altre tipologie di ristoranti, il che significa servire meno clienti applicando costi più elevati.
Noma di Copenaghen: un deciso cambio di rotta
È ormai cosa nota che uno tra i migliori ristoranti del Mondo chiuderà entro il prossimo anno, ma nel frattempo ha cambiato drasticamente la sua mentalità ed il suo format.
Lo chef e owner del Noma, Renè Redzepi, si è ritrovato ad un punto di non ritorno, una crisi da cui poteva uscirne sconfitto o da vincitore risanando un modello di business non più sostenibile.
Come da sua stessa ammissione, i costi e i ritmi di lavoro erano diventati ingestibili, gli eccellenti risultati erano stati ottenuti con il sacrificio di molti, in primis degli innumerevoli stagisti che, pur di fare esperienza nella sua cucina, lavoravano gratis o in nero e fino a 70 ore alla settimana. 34 gli chef in cucina.
Eticamente e fisicamente qualcosa di non più sostenibile.
Dal suo estro creativo ne è quindi nato un nuovo modello di business con varie declinazioni:
– “Noma to Go”, che prevede la vendita di pasti pronti da consumare a casa;
– “Noma Under The Bridge”, un pop-up all’aperto;
– Una piattaforma e-commerce;
– corsi di cucina ed eventi a tema del Noma.
Questa nuova strategia ha permesso a Redzepi di allargare il suo bacino di utenti e incrementare la produzione in maniera parallela sulle diverse linee e su una più ampia scala, mantenendo la sostenibilità al centro della sua attività.
La scelta di cambiare business, sperimentare nuove strade, creare scuole ed eventi spot ha permesso di dare nuova linfa ad un business tutt’altro che morto avvalendosi anche dei riflettori puntati per portare alla ribalta il nuovo progetto Noma 3.0.
Si tratta sicuramente di una strategia da seguire, un caso studio apripista del cambiamento di mentalità nel settore.
Adattarsi ai nuovi tempi, alle nuove generazioni e ai loro usi sfruttando tutte le iniziative di marketing diretto puntando anche su luoghi “entry level”, che avvicinano al ristorante stellato, come ad esempio a Torino La Farmacia del Cambio di Baronetto o al Bar Cavour.
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L’importanza della creatività e della flessibilità nell’industria alimentare
Negli ultimi cinque anni il numero di ristoranti stellati in Italia è diminuito del 7,5%.
In Smart Business Lab ci siamo interrogati sul perché, da un punto di vista strettamente del business.
La risposta è un boccone amaro. Gli chef stellati sono imprenditori a tutti gli effetti, eppure molti di loro stanno cadendo nella trappola dei più inesperti: innamorarsi dell’idea, invece che concentrarsi sulla soddisfazione dei bisogni del proprio target.
Non solo Noma, anche in Italia vi sono dei famosi ristoranti arrivati negli ultimi mesi ad un bivio dovuto, principalmente, a costi di gestione troppo alti incompatibili con il fine ultimo di un’impresa: fare soldi.
In Italia si sta affrontando anche un altro significativo problema: la mancanza di personale, la scarsa abnegazione dei giovani sempre meno disposti a lavorare per pochi euro e con ritmi serrati.
Siamo ad un un vero e proprio cambiamento generazionale di cui non si può non tenere conto.
Così come degli aumenti costi energetici e dell’anzianità della strumentazione, che inevitabilmente incide sui suddetti costi.
Per fare un esempio concreto, Filippo La Mantia ha dovuto abbassare le serrande del suo ristorante di Milano inaugurato circa un anno fa. Una scelta temporanea dovuta alla difficoltà del reperire e formare il personale: il cuoco siciliano ha visto la sua brigata passare da 15 a 7 persone con conseguenti affanni non sostenibili.
Come abbiamo detto prima, lavorare bene significa, ancora una volta, pensare a tutto, non solo al costo del cibo. Il lavoro di uno chef stellato è un lavoro che viene fatto per vanità, per orgoglio, non di certo per soldi e questo è l’errore in cui è più facile cadere.
È quindi necessario avere una struttura di supporto oliata e in grado di sopperire ai costi derivanti da una struttura di così alto livello.
La lista degli chef e dei ristoranti stellati in difficoltà continua ad allungarsi.
La crisi ha travolto anche Carlo Cracco ed il suo locale Cracco in Galleria a Milano anche se la perdita di quest’anno sarebbe lievemente inferiore alla perdita registrata lo scorso.
Ma la musica non cambia: la crisi, gli affitti troppo alti, i costi dell’energia alle stelle, la difficoltà nel reperire personale e la scarsa organizzazione a livello di business sono il leitmotiv della crisi che sta colpendo il settore.
Servono nuove ricette, e anche velocemente
Da Vittorio, un esempio italiano virtuoso
Più che di ristorante stellato bisogna parlare di un vero e proprio brand, un’impresa che ha saputo fare impresa e ragionare come tale.
Non solo il ristorante con le sue tre stelle Michelin, ma uno vero e proprio marchio di eccellenza con spin-off di altissimo livello fatti di strutture di accoglienza, eventi, location per eventi in Lombardia e non solo, catering e consulenze per grandi marchi della GDO.
Un universo come quello di Da Vittorio contribuisce a tenere alta la nostra fama nel Mondo.
Cosa funziona in questo modello di business? Comportarsi da azienda, distribuire i costi ed i ricavi, avere strategie definite per far fronte a crisi impreviste o danni collaterali.
Cambiare, evolversi senza per forza snaturarsi
Cambiare il proprio modello di business può essere importante per molte ragioni.
Uno dei motivi è che le esigenze e le preferenze dei consumatori possono cambiare nel tempo e un modello di business che una volta aveva successo può diventare obsoleto.
Oppure nuovi concorrenti possono entrare nel mercato con modelli di business più innovativi o efficienti, rendendo necessario l’adattamento delle imprese esistenti.
Infine, la modifica di un modello di business può anche aiutare un’azienda a ridurre i costi, aumentare i ricavi e migliorare la redditività complessiva.
Il cambiamento non va sempre inteso come negativo, è una condizione naturale dell’uomo e delle sue azioni che può portare anche ad aspetti migliorativi e rivoluzionari.
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